La reputazione professionale e la dimensione dell’apparenza

La foto raffigura il quadro di Magritte, raffigurante una sagoma di uomo con bombetta completamente sovrapponibile allo squarcio di una tenda che apre la vista al cielo

La reputazione professionale e la dimensione dell’apparenza

Due circostanze, una privata ed una professionale, mi hanno indotto in queste ore ad una riflessione sulla reputazione professionale ai tempi di Internet.

La prima è la tesina che mia figlia ha preparato per il suo esame di maturità (oggi siamo alla vigilia, finalmente!), da cui ho tratto l’ispirazione; la seconda riguarda l’accortezza con la quale alcuni affermati avvocati hanno trattato un mio invito a partecipare ad una iniziativa sulla legal innovation che sto preparando. Nonostante impegni, trasferte e riunioni, hanno trovato tempo e garantito disponibilità per una iniziativa non direttamente “promozionale”. Il loro “mettersi a disposizione” mi ha indotto ad un giudizio “personale” positivo, che si somma alla “percezione” già positiva che degli stessi avvocati e della loro competenza avevo tratto dalla loro dimensione digitale.

Cosa appare e cosa siamo. Chi fa comunicazione sa bene che il digitale ci permette di costruirci una dimensione di “apparenza”, nel senso di “cosa appare”. Ad una domanda diretta in occasione di una sua interessantissima lezione sul Brand management,  circa dove potesse spingersi il confine di questa dimensione apparente, se cioè potesse arrivare a non corrispondere alla vera natura della persona/brand, Daniele Chieffi mi ha risposto: “il limite è ampio”. Travalicarlo però è rischiosissimo, perché poi le aspettative devono essere soddisfatte, e perché – ha specificato – “la reputazione diventa la conferma di una aspettativa”.

La reputazione professionale. Jeff Bezos ci ha avvertito che la reputazione è “what people say about you when you arent’ in the room”.

E’ una qualità intangibile, un asset strategico soprattutto, a mio avviso, per gli avvocati e per i professionisti in genere perché in Italia – conferma l’Osservatorio Professionisti e Innovazione digitale del Politecnico di Milano – per la maggioranza degli studi legali e professionali la fonte di nuovi clienti è il “passaparola”.

Percezione e concretezza sono entrambe essenziali alla reputazione professionale. Se è vero dunque che la comunicazione digitale si nutre di percezioni, e che quindi ormai la prima impressione su ciascuno di noi viene cercata immediatamente su Google e sui social, digitando nome e cognome o brand dello studio legale per visitare il sito professionale; il passaparola si nutre delle esperienze concrete e dirette, di persona e tra persone.
Se questa dimensione phygital vale per i brand aziendali (che non possono più permettersi di fallire nella esperienza diretta di ciascun cliente con il proprio prodotto), figurarsi per i professionisti.

Insomma, cari Avvocati, curate pure con attenzione i vostri profili social e i contenuti nel vostro sito internet (è fondamentale!), ma sappiate che la carta ve la giocate sempre nella capacità di relazionarvi one to one, via e-mail – via skype – via chat – di persona o come altro vi pare – con i colleghi e collaboratori di studio, con i clienti, con gli altri colleghi, in tribunale, creando qualcosa di valore e che sia utile anche quando non è in causa direttamente la vostra competenza professionale.

Eviterete così l’effetto finale del romanzo di Oscar Wilde, dove al posto del ritratto di Dorian c’è la nostra fantastica foto profilo ?

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