Legal tech law driven e studi legali as start up: l’innovazione legale in Italia al LegalTech Forum

Immagina di Claudia Morelli

Legal tech law driven e studi legali as start up: l’innovazione legale in Italia al LegalTech Forum

Studi legali come start up e legaltech italiane “law driven”.
L’innovazione legale incomincia a fare proseliti a più livelli e, al momento, non potendo contare su “modelli di business certificati” da sicuro successo sul mercato, assume forme poliedriche dando vita a nuovi progetti, basati su multidisciplinarietà, ICT, comunicazione.
E’ la fotografia che ho potuto scattare partecipando al LegalTech Forum, che si è tenuto a Bologna lo scorso 15 novembre, per iniziativa di Kopjra – una delle prima legaltech italiane impegnata nella tutela del diritto d’autore on line (leggi Legaltech: un affare per pochi https://www.altalex.com/documents/news/2019/06/03/legaltech-start-up-legali-survey). Ora Kopjra, società di Tommaso Grotto, CEO, Emanuele Casadio (CTO) e Matteo Scapin, sta espandendo il raggio di azione, con l’acquisizione di una start up blockchain e con la progettazione di un sistema innovativo di firma digitale web based (Web Sign in co-creazione con In.Te.sa), che garantisca l’effettiva conclusione, con tanto di firma certificata, della conclusione di un contratto point&click.

Due, scrivevo, le principali highlights “di mercato” oltre ad altri spunti collegati a nuove discipline, quali il legal design, e “vecchie” emergenze, come la cyber security applicata all’attività forense.
Legaltech law driven. Tommaso Grotto ha presentato la mappa delle legal tech italiane (sapete che Avv4.0 segue gli andamenti di questo settore anno per anno), in corso di messa on-line.
Secondo i dati raccolti da Kopjra, attualmente sono attivate 39 start up legal: una buona percentuale (18) è ancora in fase di progetto (il loro fatturato dell’ultimo anno è inferiore a 50mila euro), 14 sono vere e proprie start up secondo la tassonomia Legaltech Forum (fatturato inferiore a 1 mln), 4 sono spin off universitarie e 3 sono le scale up (fatturato ultimo anno superiore a 1 milioni di euro: Cleafy srl, Inventia srl, Iubenda srl).
La prima start italiana è nata nel 2009, mentre l’ultima si è costituita un anno fa, il 28 novembre 2018.
Al riguardo, Avv 4.0 segnala che, in linea con un trend registrato anche a livello europeo, il numero delle nuove costituzioni di legaltech è diminuito negli ultimi due anni. Forse segno di una certa razionalizzazione all’interno del mercato legal tech, che cerca di consolidarsi su potenziali di sviluppo concreti, come ha avuto modo di sottolineare anche Artificial lawyers nei giorni scorsi in un post dal tone of voice provocatorio che ha fatto molto rumore (Are we heading for a legal tech crash? https://www.artificiallawyer.com/2019/11/12/are-we-heading-for-a-legal-tech-crash/
Tornando alle nostre legal tech, il fatturato ha raggiunto i 2,4 milioni di euro nel suo picco più alto, mentre la media nel 2018 è stata pari a poco meno di 600mila euro (in crescita costante dal 2016). Nove il numero medio di dipendenti. La distribuzione territoriale vede la Lombardia la regione guida, seguita a netta distanza dal Lazio.
Quello che ha evidenziato Grotto è che la maggioranza di queste legaltech è “reg tech”, cioè agiscono in ambiti nei quali la legislazione ha introdotto un adempimento formale specifico, soprattutto in ambito finanziario. Sono per lo più software che sovraintendono alla verifica del rispetto degli obblighi normativi e alla compliance.

Studi legali come start up. La seconda highlight che vorrei sottolineare è una nuova tendenza del mercato legale, volta a superare il “modello” tradizionale di studio legale, anche associato, costituito da luogo fisico-riunioni nella sede principale-dossier gelosamente custoditi-clienti gestiti esclusivamente con PR (Relazioni pubbliche) “deboli”, cioè personali e non strutturate.
Al suo posto stanno emergendo realtà, alcune delle quali erano presenti a Bologna, che sfruttano l’apertura legislativa verso modelli più strutturati di governance, come la possibilità di costituzione di società di capitali anche con capitali esterni se pur di minoranza, offrendo una consulenza legale integrata verso la digital transformation, con offerte rivolte sia alle aziende sia verso gli stessi studi legali e professionali. Nuove realtà che nascono su presupposti tipicamente digitali: lean, agile, tech oriented (ossia snelle nei processi, orientati ad obiettivi e non a task, agili nella struttura, operative tramite strumenti e piattaforme web a sostegno della organizzazione).
Delle nuove necessità in termini di legal project management, conseguenti a questi diversi modelli di business nei servizi legali, ha parlato Massimiliano Nicotra rappresentando l’esperienza di QuBit, di cui è partner insieme con Stefano e Monica Gobbato, realtà legale presente a Bologna, Roma, Milano in una forma societaria che include tra i soci (di minoranza) Net service spa.
L’innovazione dunque sembra uscire dall’hype “nice to talk to”, per abbracciare progetti concreti.
Non a caso Giuseppe Vaciago (Ph.D e senior partner di LT 42, una legal tech company per la fornitura di software di supporto alla digital transformation legal fondata da Vaciago stesso, Marco Tullio Giordano e Matteo Flora, noto developer), ha parlato di necessità di “approccio agricolo”, di concretezza anche di linguaggio, di condivisione. “La digital trasformation nel settore legale è una missione di cambiamento e non di marketing”, ha specificato nel suo intervento, invitando ad utilizzare la tecnologia senza rinunciare al “libero arbitrio”.
Non è detto, poi, che in una dimensione aziendale l’innovazione legale come cambiamento di mindset abbia sempre vita facile. Giangiacomo Olivi, partner di Dentons – una delle multinazionali della consulenza legale, che peraltro investe come venture capitalist in legal tech tramite il Nextlaw lab – e componente MISE sulle linee guida italiane sulla Intelligenza artificiale – ha focalizzato il punto: “L’innovazione non è innanzitutto tecnologia ma una mentalità. In Dentons stiamo lavorando tanto per raggiungere il livello di condivisione necessario per mettere al centro il cliente: è un percorso di crescita anche interna”. Spostando l’attenzione dal management al quadro normativo a sostegno (o meno) del cambiamento lato consumatore/cittadini, Olivi ha evidenziato l’apprezzabile approccio human rights centered della legislazione europea, collegato al futuro della innovazione: l’IoT, “everything as a service”. “E’ evidente che le aziende che progetteranno e utilizzeranno sistemi IoT, con la raccolta massiccia di dati- personali e non – dovranno fare una valutazione di impatto delle operazioni di raccolta e di data mining con riguardo a tre aspetti: privacy, ethics e sicurezza”.
Se per Nicola di Molfetta, direttore di Legalcommunity, per le law firm è “adesso è il momento di investire in legal tech”, per Pierluigi Perri, ordinario all’università di Milano, l’Intelligenza artificiale applicata al diritto riscontra tuttora difficoltà di “comprensione”. “I contenuti giuridici sono difficili da tradurre in strutture formali e poi in linguaggio codice. Tuttavia, l’AI può fornire supporto nel risparmiare tempo e migliorare la qualità del lavoro.
Paola Barometro e Ivan Rotunno di Orrick hanno analizzato l’impatto dell’AI nei servizi legali, per concluderne che al momento è necessario aumentare le competenze digitali dei legali per garantire una supervisione umana del procedimento automatizzato, procedere ad assessment continuo dei sistemi e lavorare a formati interoperabili di rappresentazione dell’informazione; un tema, questo, apertissimo e che sembra non essere affatto all’ordine del giorno della comunità degli innovatori legali, nonostante la sua essenzialità.
Dicevamo della propensione all’innovazione che sta maturando in ambito legal. I numerosi interventi che si sono susseguiti nella giornata hanno raccontato di iniziative concrete, promosse da avvocati che hanno deciso di immergersi nella legal innovation, come Makemark srl o LA&P, che sperimentano nuovi linguaggi – come il legal design;
Legal innovation fears. Delle sessioni Blockchain&Intellettual Property e Cyber Security& Digital forensics vi racconto alcune particolarità emerse dalle due sessioni di lavoro. E’ nota la battaglia ingaggiata ( e vinta) da Mediaset per ottenere l’approvazione della direttiva Ue sulla tutela del copyright. L’avvocato Stefano Longhini ora ha spostato l’asticella, guardando alla sua attuazione: “In linea di principio ne chiediamo la pronta attuazione, ma occorre prestare attenzione ad alcuni passaggi perché è importante non fare peggio di quello a cui oggi assistiamo”. Il riferimento è ad alcuni principi enunciati dalla direttiva, la cui articolazione in concreto determinerà l’efficacia o meno della tutela: così è, a suo avviso, per l’obbligo di chiedere una licenza; per la individuazione degli strumenti per evitare il caricamento di contenuti illeciti; per le modalità di informazione della avvenuta violazione. Vincenzo Colarocco, dello studio Previsti, ha parlato dell’impiego abusivo di keywords mentre da Hermes Cyber security è arrivato un warning agli avvocati sull’utilizzo dei browser, efficiente porta di ingresso di sistemi di hackeraggio, come la tabmapping. Marco Calonzi, consulente digital forensics della procura di Roma ha presentato la sua app Mytutela, per la registrazione a prova di tribunale delle attività di stalking subite da una vittima.

Legal design: bando alle mistificazioni. L’innovazione porta nuovi linguaggi, ma nel campo del diritto il metodo è tutto. La sessione dedicata al Legal design è stata veramente interessante. Inutile ribadire che solo chi non conosce la materia riduce il legal design a un fatto di marketing dello studio legale. Marco Imperiale, dello studio legale LCA, se ne occupa da tempo e puntualizza gli obiettivi. “Il Legal Design è uno strumento di innovazione groundbreaking, ma necessita di risorse e figure dedicate per esprimere al meglio il proprio potenziale”. Per Imperiali ci sono 5 pro e 5 contro. I pro sono: la nostra riduzione della capacità di attenzione; la capacità cognitiva del cervello, che processa meglio le immagini; i riferimenti normativi; l’attitudine al cliente; il fatto che il LD sia strumento di innovazione; i contro, per converso, sarebbero: la necessità di un mindset specifico; la percezione di “leggerezza”; i costi; il mercato; la difficoltà del progettare in LD.
L’inquadramento metodologico scientifico è venuto da Paolo Moro, dell’Università di Padova, e da Monica Palmirani, dell’università di Bologna. Per Moro “il legal design è una metodologia di comunicazione giuridica che utilizza la tecnologia web, mappe argomentative e analisi grafica, linguaggio visual per proporre soluzioni espositive ed estetiche del testo giuridico”. Se l’iconografia non è estranea ai concetti giuridici (i segnali stradali, per dire), nel futuro anteriore – è la domanda di Moro – si arriverà mai all’utilizzo assorbente in forme simboliche e visive di concetti giuridici? Il tema è sul tappeto, visto che se la risposta fosse sì, l’accesso alla giustizia sarebbe più ampio e garantito; così come l’efficienza del sistema. Tuttavia arrivare a questo risultato richiede molto impegno e no improvvisazioni, perché si arriverebbe alla eterogenesi dei fini. Nella Legal design alliance, di cui fa parte il Cirsfid (Centro interdipartimentale di ricerca in storia del diritto, filosofia e sociologia del diritto e informatica giuridica dell’Università di Bologna), lo sanno bene. “Con il Natural language processing è stato tentato di semplificare il linguaggio giuridico, ma è stato un flop. Corriamo il rischio di impoverire il messaggio giuridico”, ha specificato la Palmerani che ha partecipato alla redazione del Manifesto LEDA (https://www.legaldesignalliance.org/).
I suoi warning: evitare un utilizzo di icone per fini commerciali o per manipolare il comportamento degli utenti finali; i concetti giuridici devono essere al centro della forma espressione senza essere semplificati; la teoria giuridica deve aiutare a specificare i concetti ed ad individuare i dark pattern; incorporare principi etici; garantire tracciabilità e trasparenza verso i consumers; argomentabilità verso il giudice; ontologia in caso di verifica; customizzazione (legal design dinamico con la intersezione con AI) in base agli users.
Insomma, il legal design non è un gioco.

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