S’Taggami, please

S’Taggami, please

Ecco qualche riflessione personal/professionale (ma non scientifica) sull’utilizzo dei Tag personali.
I tag sono “etichette” che, nate originariamente per associare foto ai titolari dell’immagine riprodotta, oggi sono utilizzate sui social per “coinvolgere” terze persone nei propri post.
Le brevi riflessioni che seguono riguardano due aspetti in particolare…

Condividere è una cosa meravigliosa. E’ una parola composta di con- e dividere e significa nella sua essenza una cosa precisa: Dividere, spartire insieme con altri; anche Avere in comune con altri.

La condivisione è alla base dei social, tanto che è interessante notare come in Treccani on line, alla voce condividere, vengono fuori una sequela di termini tutti legati alla dimensione digitale (http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/condividere/).
La condivisione richiama quindi una attività bi direzionale.

Notificare [dal lat. tardo notificare, comp. di notus «noto» e -ficare] , invece, significa portare a conoscenza della popolazione, da parte di un’autorità, una situazione di fatto, una dichiarazione di volontà, un atto amministrativo, mediante pubblico avviso o mediante comunicazione diretta.
Implica quindi una attività di comunicazione unidirezionale.

Taggare a strascico. Perché questa premessa? Perché credo che l’utilizzo dei tag sui social, soprattutto professionali (mi riferisco a LinkedIn), dovrebbe corrispondere quasi esclusivamente al primo scopo.

Condividere esperienze, permettendo all’ esperienza in comune di godere di una più ampia diffusione, è senz’ altro uno dei precipitati più belli dei social.
Oppure ringraziare qualcuno per il coinvolgimento in una esperienza professionale comune, taggandolo, è una attestazione di stima che, se fatta in pubblico, è anche generosa.

Di tutt’ altro sapore, a mio avviso, gli elenchi infiniti di tag personali su esperienze o iniziative proprie, che non coinvolgono le persone taggate.
In questo caso, l’obiettivo in buona fede potrebbe essere quello di “notificare” una propria iniziativa, per “spargerne notizia” utilizzando i propri collegamenti.
Non è la scelta migliore, a mio avviso.

Può succedere infatti che la persona taggata “a sua insaputa” non condivida il contenuto, non è interessata, o non desidera essere associato per proprie ragioni a quel post. Eppure viene coartata ugualmente a diffondere un messaggio tramite la nostra bacheca.
Per fortuna, gli stessi social prevedono meccanismi di filtro come “l’autorizzazione” preventiva a pubblicare quel post nella propria bacheca. Ma anche in caso di non “autorizzazione”, il nome rimarrà legato a quel post, a prescindere dalla volontà della persona oggetto del tag.

Non che la “notifica” sia vietata. Anzi. Ma perché non utilizzare con più riservatezza il messaggio in privato, segnalando la propria iniziativa con un messaggio diretto alla persona?
Sono certa che quest’ultima apprezzerà di più e comunque si sentirà più coinvolta perché, questa volta, fatta oggetto di una attenzione personale.

Nel primo caso, il tag trasforma la persona in un oggetto (un megafono); nel secondo, il messaggio dimostra al destinatario l’attenzione personale del mittente. Esalta la relazione.

Taggami, se abbiamo condiviso un’esperienza. E ora veniamo al rovescio della medaglia. E’ facile notare, sui social, anche alcune scelte volte a “mantenere le distanze”: nonostante si sia condiviso un progetto, un evento, un webinar, un convegno, c’è chi sceglie di soprassedere nella condivisione social tramite i tag, magari perché non ritenuta “in target” con il proprio posizionamento, suppongo.

Delle due l’una, mi viene da pensare: a) se non era in target, perché partecipare; b) se era in target, perché non taggare o promuovere quella esperienza condotta in comune?

Anche in questo caso, nessun obbligo ovviamente. Ma, come nel precedente, l’impressione che deriva da queste scelte è quella di “convenienza” personale: non è importante con chi, ma cosa ho fatto.

(Mie) conclusioni. I social hanno espresso ed esprimono tante potenzialità per avvicinare, amichevolmente, professionalmente e anche utilmente le persone. Accorciano le distanze e questo è magnifico.
Però sono luoghi condivisi. E cercare scorciatoie, a mio avviso, non sempre paga. In reputazione.

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