In puro stile vacanziero, ho fatto un viaggio… nel futuro
Ho appena finito di leggere l’ultimo volume di Yuval Noah Harari, “Homo Deus – Breve storia del futuro”.
Harari è uno storico e si esercita con la futurologia, attività molto in voga in questa epoca di trasformazione; ma a mio avviso tutt’altro che onirica.
L’autore di “Sapiens, da animali a dèi” è come un Virgilio 4.0 ma non ci riporta “a riveder le stelle”; piuttosto ci inviata a mettere in discussione i punti di vista di donne e uomini WEIRD (acronimo che sta per Western, Educated, Industralised, Rich and Democratic) che, a suo avviso, ci stanno allegramente (e neanche poi tanto) portando sull’orlo del baratro: quello della fine dell’antroprocene. Harari disegna il paradosso attuale: la scienza è sempre più vicina a trasformare l’Homo in Deus (non è forse vero che stiamo studiando l’immortalità?); ma è qui che l’Homo perderà sé stesso.
Harari snoda un percorso toccando Storia, Antropologia, Scienze, Innovazione, per arrivare a sostenere che la più grande questione del XXI secolo sarà quella di mettere in discussione i nuovi dogmi emergenti (attenzione, tutti puntualmente documentati). Dogmi che sono:
a) Gli organismi sono algoritmi biologici; il cervello umano un circuito di elettroni, che agisce per impulsi elettrici; il libero arbitrio non esiste; l’uomo è divisibile e manipolabile;
b) Con l’Intelligenza artificiale, l’intelligenza si sta separando (per la prima volta nella storia dell’Uomo) dalla coscienza;
c) Algoritmi molto intelligenti potranno conoscerci meglio di quanto possono i nostri stessi sé più coscienti (che di regola ci raccontano favole).
Ho trovato questo testo molto interessante e, tutto sommato convincente nella misura in cui Harari non parla per assiomi ma per probabilità, ordinando molti tasselli di un puzzle complicato.
Direi che mi hanno colpito più di tutti alcuni passaggi:
1) Nessuno sa dove sia finito il Potere (di assumere decisioni valide per una moltitudine di umani);
2) La nuova censura è inondare la dimensione digitale di informazioni irrilevanti;
3) Tutti noi, con consapevolezza, cediamo autorità (umana) ad algoritmi sempre più autonomi e capaci;
4) Le nuove tecno religioni stanno ormai spostando il baricentro dall’Uomo (dalla sua esperienza) ai Dati. L’Uomo nella sua individualità non esisterà più. Ognuno di noi sarà un flusso di dati, rilevante per il dato fornito; irrilevante nella sua esistenza.
Da questo ultimo assioma, Harari fa discendere una nuova dimensione socio-politica, nella quale intravede una elìte di uomini potenziati al vertice di una pletora di uomini ridotti alla sostanziale inutilità: ed è forse questo epilogo dell’umanesimo liberale che atterrisce di più.
Per il resto, Harari disegna uno scenario “allarmato” ma non catastrofico ad una condizione: che noi tutti prendiamo coscienza della nuova rivoluzione in atto, opportunità e rischi.
Harari non fornisce risposte, ma chiude il suo percorso invitandoci a conoscere, analizzare, scegliere.
Dopo tutto, non è la prima rivoluzione a cui l’Uomo ha dovuto attendere, dopo quella cognitiva, agricola, industriale.