Giustizia (digitale) e Fase 2: una Giustizia senza voce

Giustizia (digitale) e Fase 2: una Giustizia senza voce

Ius-dicere: esporre (con la parola) il diritto. E’ probabile (oggi non ho potuto approfondire; non me ne vorranno gli studiosi di diritto romano) che il principio di oralità tipico della nostra cultura giuridica provenga dall’indissolubile nesso che da Marco Aurelio in poi ha collegato lo ius al dicere.
Con un salto di 2000 anni, analizziamo ora la prima definizione letterale utilizzata per dare significato alla rivoluzione digitale, ossia quel concetto complesso condensato nell’acronimo ICT – Information Communication tecnology. E poniamo l’accento su Information e Communication: la rivoluzione digitale è partita proprio per favorire lo scambio veloce (qualcuno negli anni ’80 ha provato anche a teorizzare una velocità più veloce della luce!) di informazioni e comunicazioni.
Peccato però che oggi in Italia la Giustizia, soprattutto civile, non parli proprio più. Ha perso completamente la voce. Perché? In estrema sintesi e con una intenzione provocatoria provo ad articolare una risposta: perché l’opzione digitale oggi non esiste. Nei fatti, non esiste. Nel pensiero strategico non esiste. Con la conseguenza che la fase 2 post Covid si apre con una pressocché unica conseguenza: il processo cartolare. Che in un sol colpo nega oralità e udienze da remoto e prosegue nel semplicistico approccio della “scannerizzazione”, non dell’ innovazione. Siamo al paradosso.

Innovazione legale
Un paradosso che, sono pronta a scommettere, scontenta sia gli strenui difensori del principio di oralità; sia gli entusiasti innovatori. Si torna alla carta, per quanto depositata on line. A decidere sarà il giudice, sulla base delle carte ricevute.
Da quattro anni scrivo di innovazione legale; ho cercato di raccontare gli up and down di un percorso accidentato (in tutti i Paesi) come è la trasformazione digitale di uno dei servizi pubblici essenziali su cui si regge una democrazia: la giustizia. Ho cercato di raccontare le implicazioni democratiche negative di scelte tecnologiche sbagliate; gli sforzi e i limiti degli operatori impegnati; i buoni risultati raggiunti (abbiamo sempre plaudito ai numeri del Processo civile telematico; all’esordio del Processo amministrativo telematico; alla obbligatorietà diffusa del Processo tributario telematico). Abbiamo tralasciato di focalizzarci sempre e solo sui bug, preferendo guardare al bicchiere mezzo pieno perché la tecnologia – come i diritti – non sono mai un fatto acquisito per sempre. E’ un work in progress costante, eterno, infinito.

FASE2: la situazione attuale
Oggi, inizio della Fase 2 post Covid 19, cosa registro? (lista non esaustiva).
1) Il totale sostanziale congelamento del servizio Giustizia (in senso lato) per tutto il periodo del lockdown
2) Norme scarne, eppure contraddittorie, indecise, incomplete (articoli 83 e 84 del decreto legge Cura Italia; poi modificata dal decreto legge Liquidità; poi modificati del decreto legge “giustizia” e in attesa del nuovo decreto “Rilancio”) piena di incertezze, che hanno provato a dare una risposta flessibile in relazione alle necessità sanitarie, ma che si è tramutata in un “libera tutti” negli uffici giudiziari. Cosa significa? Che solo nel tribunale di Roma, per 16 sezioni civili vigono ben 15 protocolli diversi;
3) Un sistema di giustizia civile informatizzata che:
a) si è trovata sguarnita totalmente nel gradino A dell’accesso alla giustizia, ossia i giudici di pace;
b) dove i registri di cancelleria sono accessibili solo da alcune postazioni ubicate negli uffici giudiziari; con la conseguenza che per far proseguire i processi occorre recarsi fisicamente nei tribunali;
c) non ha una infrastruttura “proprietaria” per far svolgere le udienze da remoto, con la quale molte delle riserve sulla imprescindibile garanzia di riservatezza e sicurezza sarebbero cadute;
4) Un sistema di giustizia penale sostanzialmente ostaggio di sé stesso; (tutto sommato non è neanche da criticare l’approccio dei penalisti che hanno imboccato la strada delle “eccezioni processuali” alle udienze da remoto sol perché ha l’effetto, pur indesiderato, di legittimarle)
5) Un sistema di giustizia tributaria che, ricordiamolo, governa uno dei rapporti cardini di uno Stato di diritto (quello tra cittadini e Stato impositore), ha trovato una norma dedicata solo alla fine del periodo di lockdown (!);
6) Un sistema di giustizia amministrativa che è stata quella che ha dato migliore prova reattiva, ma sempre puntando sul processo cartolare.
Dove voglio arrivare? Ad una domanda: siamo disposti a rinunciare al servizio Giustizia pur di non affrontarne – con la progettualità tipica di un percorso “rivoluzionario” ma attento ai diritti – la sua trasformazione “digitale”?

P.S. Mi segnalano un dato positivo che vale la pena integrare, per corretta e completezza. Alcuni dati diffusi dal Ministero della Giustizia, relativi alle attività compiute durante il periodo di lockdown, danno conto di una intensa attività di deposito di verbali e sentenze da parte dei magistrati (nei mesi di marzo e aprile, oltre 1 milione). Così come, con riguardo alle Corte di appello, nel periodo di lock down, la forbice tra procedimenti iscritti e procedimenti definiti ha visto un ribaltamento delle misure a favore dei secondi. Un segno che, almeno sull’arretrato, soprattutto civile, qualcosa si è mosso.

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